| Lidia, riprendendo il discorso sulle analogie tra la filosofia che vado indicando e il pensiero buddhista-taoista, riporto qui un estratto del mio ultimo libro:
"Per quanto invece riguarda il Taoismo [...], lo si può ricondurre a quello stesso di cui si persuade il Buddhismo, in particolare quello di Nagarjuna e quello Zen. Esso sostiene, infatti, che il Tao (cioè la via), essendo (creduto come) la fonte assoluta da cui tutto proviene - una fonte che dimora oltre l'essere e il non-essere, e che quindi dà l'esistenza al Tutto esistente -, non può essere nominato, è ineffabile, è l'assolutamente indefinito, ossia è l'inesprimibile. Dal Tao deriva il Te (tradotto in genere con virtù), ovvero ciò che determina il differire tra le cose, un differire che è lo stesso modo in cui il Tao è in qualche modo manifesto nel mondo terreno".
Ciò detto, è chiaro che il Taoismo (il Buddhismo, ma, poi, tutta la cultura orientale) non intende esplicitamente volgere lo sguardo verso la coscienza pura a cui mi riferisco. L'autentica coscienza del Tutto è infatti la negazione perentoria e assoluta che possa esistere l'assolutamente inesprimibile o ineffabile. Quando parlo di "cerchio infinito di luce" non intendo rivolgermi a qualcosa che se ne stia al di là di ciò che processualmente vediamo ogni giorno, bensì si tratta di capire che ciò che vediamo ogni giorno in movimento non è qualcosa di effimero e di insensato o casuale: è appunto il cerchio infinito di coscienza, lo sguardo eterno che vede già da sempre, in sincronia, tutti gli accadimenti (passati, presenti temporalmente e futuri).
In che modo li vede? In modo diacronico: è il modo ad essere diacronico, ma ciò di cui il modo è tale è essenzialmente sincronico, ossia ciò (albero, pietra, stella, io, tu, ecc.) in cui consistono gli accadimenti non è soltanto un accadimento (un divenire, un processo di nascita e morte), bensì si illumina all'interno di sé stesso (albero, pietra e così via) in quanto uguaglianza assoluta che unisce tali accadimenti.
"Noi" tutti siamo, nell'inconscio più profondo di noi stessi, l'unico "Io" eterno dell'Universo che, in un sentiero finito di modi (dai modi in cui a spiccare è questo modo stesso, cioè il senso stesso del dolore, ossia della contraddizione - poiché si soffre perché è parzialmente assente ciò che in quell'inconscio è pur sempre presente -, ai modi in cui a torreggiare è l'Universo stesso nella sua interezza), osserva sé stesso (ossia vive in eterno, è autenticamente felice, ama tutto sé stesso).
E' il pensiero infinito (lo sguardo eterno, cioè il cerchio infinito di luce) a vedere, sentire e così via, e il fatto che esso veda anche attraverso «l’occhio (dell’uomo o dell’animale o di qualsiasi altro ente individuale)», o che senta anche attraverso «l’orecchio» (e così via per ogni «senso»), ciò non significa che sia «l’occhio», in quanto è una certa differenza del Tutto, ad esser ciò che, in assoluto, vede (infatti vediamo anche nel cosiddetto «sonno», o semplicemente immaginando qualcosa nella propria mente), bensì significa che «l’occhio», «l’orecchio» ed ogni altra differenza del Tutto pensante sono i diversi modi in cui quest’ultimo vede in eterno sé stesso.
"In eterno" significa che tutto ciò che nasce e muore non viene e non ritorna nel nulla assoluto. L'eternità è cioè l'esistenza, la manifestazione stessa di tutto ciò che appare in movimento, giacché il movimento è già da sempre fermo, ossia è sé stesso (esiste, si manifesta, è eterno).
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